Home Chi sono Attività Contatti Articoli News Links Privacy


La gestione dei buoni pasto e la normativa fiscale

I buoni pasto sono, tecnicamente parlando, dei titoli di legittimazione che danno diritto al possessore ad ottenere un servizio sostitutivo della mensa aziendale per un importo pari al valore facciale del buono stesso. I buoni pasto possono essere in formato elettronico o cartaceo e sono emessi da società specializzate che operano in questo specifico ambito.

Ma procediamo con ordine. Prima di parlare di buoni pasto occorre parlare dell'obbligo dei datori di lavoro ad organizzare, nei casi previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, un servizio di mensa aziendale per i propri dipendenti. In questo caso il datore di lavoro può organizzare direttamente il servizio di mensa nei locali aziendali, oppure può affidare il servizio ad una società esterna che gestisce la mensa aziendale.

Il servizio di mensa può tuttavia essere organizzato anche in locali appositi, eventualmente al di fuori dei locali aziendali, e può essere anche interaziendale, ossia quando nel locale destinato a mensa vengono servizi i pasti a dipendenti di ditte diverse.

Nel corso degli anni i servizi di mensa si sono sempre più diffusi, la contrattazione collettiva ha esteso la platea dei datori di lavoro interessati, e le modalità di usufruire dei pasti da parte dei dipendenti si sono ampliate.

In questo contesto hanno assunto un ruolo sempre più importante le società di emissione dei buoni pasto. Queste società stipulano dei contratti con i datori di lavoro, rilasciando i buoni pasto, cartacei o elettronici, che poi saranno utilizzati dai dipendenti per usufruire dei pasti. Nel corso del tempo è stata estesa la spendibilità dei buoni pasto, non solo in mense aziendali o interaziendali, ma anche presso pubblici esercizi e perfino nelle attività di gastronomia.

In pratica il dipendente può spendere il valore facciale del buono in un lungo elenco di esercizi convenzionati.

A volte il valore del buono corrisponde esattamente al pasto usufruito, altre volte il dipendente integra invece il valore del buono stesso (che in alcuni casi è relativamente basso e non in grado di coprire nemmeno un primo piatto).

Si tratta ora di capire il trattamento fiscale dei buoni pasto.

Ai fini delle imposte dirette i buoni pasto, naturalmente purché rispondano a determinati requisiti, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, fino ad un importo di 4 Euro in caso di buoni cartacei e di 8 Euro in caso di buoni elettronici. In poche parole, entro questi limiti non sono tassati come fringe benefit (cosa che invece succederebbe se il datore di lavoro concedesse un importo X mensile a titolo di contribuzione pasti).

La definizione, le caratteristiche e la disciplina dei buoni pasto sono contenute nel Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 7 giugno 2017, n. 122, il quale definisce anche gli aventi diritto e gli esercizi in cui possono essere utilizzati.

Va da se' che i buoni pasto non possono essere cedibili, né possono essere usati per fare la spesa. Il loro scopo è quello di permettere al dipendente di potere consumare un pasto nella pausa pranzo.

Per quanto riguarda invece la normativa IVA, la casistica è un po' più complessa, soprattutto con riferimento all'aliquota corretta applicabile.

Dobbiamo infatti tenere presente che nel caso dei buoni pasto vi sono diversi soggetti: il datore di lavoro che paga i buoni, il dipendente che li utilizza per consumare i pasti, l'esercizio convenzionato presso cui i buoni pasto vengono spesi, la società di emissione dei buoni pasto che emette e fattura i buoni pasto al datore di lavoro.

In estrema sintesi, abbiamo due rapporti economici fondamentali: quello tra l'esercizio convenzionato e la società di emissione dei buoni pasto e quello tra quest'ultima ed il datore di lavoro.

A questi due rapporti potrebbe talvolta aggiungersene un terzo: quello tra l'esercizio convenzionato ed il dipendente che integra, pagando in proprio, l'eccedenza del pasto consumato rispetto al valore facciale del buono.

Per quanto riguarda il primo rapporto, quello tra esercizio convenzionato e società buoni pasto, il servizio prestato o i beni venduti (in caso di gastronomia d'asporto) non integrano, in se', un servizio di mensa aziendale, per cui la fatturazione dell'esercente nei confronti della società di emissione buoni pasto avviene con le aliquote IVA ordinarie previste per i beni ceduti o i servizi prestati. Poiché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di pubblici esercizi, essi fattureranno con IVA 10% alla società di gestione buoni pasto. Tale orientamento è stato ritenuto corretto dall'Agenzia delle Entrate in diverse occasioni, tra cui la C.M. n. 30 del 16/04/1992, e confermato recenetemente con la R.M. n. 75/E del 1 dicembre 2020.

Questa linea interpretativa è spiegata abbastanza chiaramente dalla R.M. 63/E del 17 maggio 2005, che testualmente afferma:

"Resta fermo che il pubblico esercizio convenzionato per il servizio di somministrazione pasti reso ai dipendenti emette fattura nei confronti della XZ e non nei confronti del datore di lavoro e che pertanto in tale fase la fattispecie non può assumere la qualificazione di "mensa aziendale".
Ne consegue che nei rapporti fra la XZ e l'esercizio convenzionato la misura dell'aliquota applicabile sarà del 10%, attesa la specifica regolamentazione contenuta al n. 121) della Tabella A - Parte III - dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972."

L'importo che l'esercente fatturerà alla società emittente i buoni pasto è quello concordato tra le parti, che potrebbe essere inferiore al valore facciale del buono qualora le parti abbiano concordato uno sconto a favore della società emittente i buoni pasto.

Relativamente al secondo rapporto, quello tra società emittente i buoni pasto e datore di lavoro, la fatturazione avverrà con aliquota IVA 4%, ai sensi della tabella A, parte seconda n. 37 allegata al DPR 633/1972, in quanto si tratta di "somministrazione di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali, nelle mense delle scuole di ogni ordine e grado, nonche' nelle mense per indigenti anche se le somministrazioni sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni".

Anche questo punto è confermato dalla C.M. 30/1992 e dalla R.M. 75E/2020.

L'eventuale terzo rapporto, quello che si verifica quando il dipendente integra con proprio denaro l'importo facciale del buono, è indubbiamente il più complesso di tutti. È una somministrazione di alimenti e bevande ordinaria o una somministrazione sostitutiva del servizio di mensa aziendale?

La citata C.M. 30/1992 prevedeva infatti che "sui corrispettivi pagati dal dipendente al pubblico esercizio per le somministrazioni da questi rese in eccedenza all'importo stabilito nella convenzione e risultante dal buono pasto si rende applicabile l'aliquota IVA del 10 per cento" (testualmente veniva riportata l'allora vigente aliquota del 9%, oggi 10%).

Se il quadro sembrava così chiarito a livello di prassi, recentemente la risposta all'interpello n. 231/2022 ha un po' spiazzato tutti.

Tuttavia va anche considerato che questo interpello in realtà si riferisce a pasti somministrati in locali destinati esclusivamente a mensa azienda o interaziendale, pertanto non aperti al pubblico a differenza di bar e ristoranti convenzionati.

La risposta all'interpello afferma ora che l'integrazione pagata per contante (o con mezzi elettronici come Bancomat, carta di credito, ecc.) dal dipendente sia soggetta ad aliquota del 4%.

In pratica l'esercente dovrebbe fare un doppio scorporo IVA, del 10% sulla parte di pasto coperta dal buono (che fatturerà al 10% alla società emittente) e del 4% sull'extra pagato dal dipendente.

Facciamo un esempio, buono pasto del valore di 7 Euro, pranzo consumato per 10 Euro, i 7 Euro verranno fatturati alla società emittente i buoni pasto per l'importo concordato (l'importo nominale corrisponde a 6,36 + IVA, ma come abbiamo visto vale l'importo concordato tra le parti, che potrebbe prevedere uno sconto), mentre i 3 Euro costituiscono, per l'Agenzia delle Entrate, corrispettivi soggetti ad aliquota IVA del 4% e come tale scorporati.

Non è ancora del tutto chiaro se questo orientamento rappresenti, come a prima vista potrebbe sembrare, un'evoluzione dell'interpretazione da parte dell'Agenzia delle Entrate, rispetto alla citata C.M. 30/1992, oppure se invece l'aliquota IVA più favorevole sia dovuta al fatto che la risposta 231/2022 si riferisce, come indicato nella premessa della stessa, a somministrazioni in locali espressamente destinati al servizio di mensa aziendale (per i quali opera anche l'esenzione della certificazione fiscale e quindi dello scontrino ai sensi del D.M. 21/12/1992).

L'interpello 231/2022 sottolinea infatti espressamente:

"Come chiarito con risoluzione n. 35 del 28 marzo 2001, la norma sopra citata consente l'applicazione dell'aliquota ridotta del 4 per cento a tutte le prestazioni aventi ad oggetto somministrazioni fornite al personale dipendente nei locali ivi indicati. In particolare, con il documento di prassi sopra citato si è ritenuto che il legislatore fiscale abbia voluto oggettivamente agevolare in senso ampio l'attività di somministrazione ai dipendenti, purché realizzata nel locale "mensa aziendale"."

Personalmente, anche se tra le righe potrebbe sembrare un'apertura importante da parte dell'Agenzia delle Entrate, fintanto che non ci sarà una presa di posizione chiara da parte dell'AdE nel caso in cui i pasti vengano consumati presso pubblici esercizi, sarei molto prudente.

Va evidenziato infatti che:
a) la risposta dell'AdE non prevede alcun limite di importo per l'assoggettamento all'IVA 4% (in una mensa aziendale può essere comprensibile, in quanto non vengono preparati piatti raffinati, ma in un ristorante il contesto può essere molto diverso);
b) in un ristorante la casistica è totalmente differente, perché mentre una mensa aziendale applica sempre l'IVA al 4%, un ristorante ha di norma i prezzi del menu che includono l'IVA al 10% ed appare poco verosimile che il ristoratore sconti la differenza IVA a favore dei dipendente, l'eventuale IVA 4% sulla differenza andrebbe pertanto a solo beneficio dell'esercente;
c) la risposta non accenna espressamente ad un superamento di quanto stabilito con la C.M. 30/1992;
d) l'interpello ha una validità più limitata, limitata alla specifica fattispecie esaminata, rispetto ad una circolare, che ha invece un'efficacia generale.

Questi elementi, unitamente alla stessa premessa dell'interpello che precisa che la società istante effettua servizi di gestione di mense aziendali, in locali non aperti al pubblico, rendono quanto meno dubbio il fatto che l'integrazione da parte del dipendente sia soggetta ad IVA 4% anche quando i pasti vengano consumati in pubblici esercizi.

Pertanto finché non ci saranno nuovi chiarimenti ufficiali, la fattispecie presenta ulteriori aspetti da chiarire. Personalmente, ai pubblici esercizi che si trovano a gestire questa casistica, qualora non vogliano prudenzialmente applicare comunque l'IVA al 10%, suggerirei di valutare con il proprio commercialista di inoltrare un regolare interpello all'Agenzia delle Entrate.

Per completezza, va evidenziato che potrebbe esserci un'ulteriore casistica: la convenzione diretta tra datore di lavoro e pubblico esercizio, senza quindi l'intermediazione della società emittente i buoni pasto.

In pratica il datore di lavoro stipula un contratto con una mensa aziendale oppure con un pubblico esercizio per la somministrazione dei pasti ai propri dipendenti.

Anche in questo caso non è possibile dare una risposta certa ed univoca sull'aliquota IVA applicabile a questa fattispecie. Se nel caso di mense aziendali ed intereziendali, e quindi in locali non aperti al pubblico, sembra che non si siano particolari dubbi circa all'applicabilità dell'IVA al 4%, più complessa è indubbiamente l'aliquota IVA applicabile nel caso di pubblici esercizi.

Dando per scontato che ci sia alla base un contratto e che l'esercente sia in grado di verificare il corretto utilizzo del servizio da parte dei dipendenti, questa casistica non è ancora completamente chiara al 100%.

È vero che la la citata C.M. 30/1992 affronta questa casistica, affermando testualmente, tra le righe:

"E' appena il caso di precisare che le somministrazioni di alimenti e bevande rese in pubblici esercizi a beneficio di lavoratori dipendenti sulla base di contratti stipulati direttamente dai propri datori di lavoro con gli esercenti sono assoggettate all'aliquota IVA del 4 per cento".

Apparentemente la situazione sembrerebbe quindi chiara, ed in base alla C.M. 30/1992 il ristorante, purché in presenza di regolare contratto con il datore di lavoro avente ad oggetto la gestione di un servizio sostitutivo di mensa aziendale a mezzo convenzione, teoricamente dovrebbe quindi potere fatturare con IVA al 4%.

Tuttavia va anche considerato che parliamo di una circolare vecchia di oltre 30 anni, prendendo atto, in particolare, che la prassi successiva non ha più affrontato l'argomento (ad esempio la R.M. 63/2005 se da un lato riprende i medesimi contenuti della C.M. 30/1992 in caso di presenza di società emittente i buoni pasto, dall'altro nulla dice circa la convenzione diretta), per cui inevitabilmente qualche dubbio resta.

Tra l'altro Assolombarda, che gode di una certa autorevolezza, analizzando questa casistica nell'anno 2000, e quindi successivamente alla C.M. 30/1992, propendeva invece per l'aliquota IVA del 10%.

Per questo consiglierei anche in questo caso ai pubblici esercizi intenzionati a convenzionarsi direttamente con i datori di lavoro di valutare, con il loro commercialista, la possibilità di effettuare una richiesta di interpello all'Agenzia delle Entrate per potere avere un parere ufficiale.

Infine, va sottolineata la modalità corretta di fatturazione e di certificazione dei corrispettivi.

Per quanto riguarda la fattura, trattandosi di prestazioni di servizi, essa va emessa non oltre il momento del pagamento.

Normalmente è prassi commerciale anticipare la fattura che poi viene pagata alla scadenza concordata.

La certificazione di corrispettivi (scontrino) è invece prevista solo in caso di somministrazioni eseguite presso pubblici esercizi o acquisti presso esercizi di gastronomia, mentre in caso di mense aziendali o interaziendali situate in locali appositi e non aperti al pubblico è previsto l'esonero della certificazione ai sensi del citato D.M. 21/12/1992.

Occorre prestare attenzione che la certificazione dei corrispettivi, quando prevista, segue la prestazione effettuata, anche se ai fini IVA rimane valido il concetto chiave del momento del pagamento.

Ne consegue che i pasti somministrati in base al valore facciale dei buoni pasto vanno certificati con scontrino non pagato, e trattandosi di corrispettivi non riscossi non andranno indicati nel registro dei corrispettivi ai fini della liquidazione dell'IVA (si suggerisce di utilizzare una colonna o un sezionale a parte, per tenere comunque traccia contabile di queste operazioni) e non concorreranno, in questo momento, alla determinazione dell'IVA da versare.

Solamente al momento della fatturazione alla società emittente i buoni pasto (in ogni caso non oltre il momento del pagamento) verrà emessa fattura in base all'importo concordato, con IVA 10%, ed essa allora confluirà in quel momento nell'IVA a debito.

Naturalmente eventuali integrazioni dei pasti da parte dei dipendenti saranno soggette a regolare certificazione (scontrini) ed andranno registrate, in quanto riscosse, nel registro corrispettivi e confluiranno nell'IVA dovuta.


Inizio pagina



08/08/2022

Se desiderate un approfondimento, una consulenza o un parere potete contattarmi per concordare un meeting o un appuntamento, anche in videoconferenza.



Copyright Studio Cortelli - Tutti i diritti riservati - Il presente articolo rappresenta esclusivamente l'opinione del tutto personale dell'autrice, ed è fornito senza pretesa di esaustività dell'argomento e con espressa esclusione di qualsiasi responsabilità. A causa della complessità della materia e della sua evoluzione nel tempo l'autrice raccomanda sempre un preventivo confronto professionale con il proprio commercialista o con i consulenti di fiducia.


Studio Cortelli - Trento - Partita IVA 04168480376 - Tutti i diritti riservati - Informativa privacy